venerdì 16 settembre 2016

DARK ZONE: Le giornate autore #20 MADDALENA CAFARO



THE MASTER OF SHADOWS




TRAMA: 2083. Roma, quartier generale dei Pyrox. Delle strane sparizioni stanno mettendo in serio pericolo l’equilibrio che Adam, il signore delle ombre, è riuscito con fatica a creare insieme alla sua squadra di agenti speciali. La città sembra essere divenuta la preda di una nuova organizzazione criminale e a nulla serve l’intervento delle più alte cariche celesti per sventare un attacco che rischia di sfociare in disastro. Per gli uomini, certo, ma anche per gli ibridi, i demoni e le streghe. 
Il ritorno di un passato che si pensava essere stato confinato è prossimo, e la battaglia è alle porte. Il futuro non è mai stato così incerto e l’oscurità non è mai stata così vicina. 

Eppure, in questa guerra, non tutto è scontato, non tutto è quello che sembra. Luce e tenebra, bene e male… Non c’è luce senza oscurità e, forse, non c’è oscurità senza luce.


ESTRATTI

Adam entrò nella sua stanza, si chiuse la porta alle spalle e solo allora si lasciò andare. Scivolò a terra, poggiandovi le mani, e iniziò a respirare più velocemente nel vano tentativo di tenere a bada le sue emozioni. Il dolore, che negli ultimi sessant'anni aveva tenuto a bada soffocandolo e relegandolo nel profondo della sua anima, si era liberato sommergendolo. 
Aveva cercato in tutti i modi di dimenticare la sua dolce e piccola Livvy, il profumo dei suoi capelli, la luce dei suoi occhi, il sapore delle sue labbra. 
Iniziò a colpire il pavimento con il pugno, cercando di soffocare un dolore con un altro più intenso. Tutte le barriere, create nel corso degli anni con tanta fatica, erano scomparse. Il rimorso e il senso di colpa gli piombarono addosso, proprio come se fossero passate solo poche ore da quando era stato costretto a togliere la vita alla donna che amava.
Aveva creduto di riuscire a gestire i suoi sentimenti, di poterla guardare con occhi diversi, distaccati, freddi. Ma era stata solo un'altra enorme bugia. Non appena l'aveva vista, era stato come la prima volta: tutto si era risvegliato in lui, il suo cuore aveva saltato i battiti e c'era voluta tutta la sua volontà per non mostrarsi e mandare tutto all'aria.



«Adam…» Misha indicò la figura femminile ferma al centro del corridoio e si preparò, sollevando le mani in segno di difesa; la ragazza indossava un vestito dalle spalline sottili, lungo fino al ginocchio, e le braccia erano nude. Non indossava gioielli, ma l'attenzione di entrambi era tutta per il pugnale che aveva in mano. Misha fece un passo in avanti, lentamente. «Non vogliamo farti del male… Butta a terra il coltello e non succederà nulla.»
«Misha, non penso possa sentirti, guarda i suoi occhi» disse Adam facendogli notare lo sguardo vacuo.
Serena dondolò sulla punta dei piedi, oscillando avanti e dietro; il sorriso le illuminava il viso, mentre i capelli corvini le ricadevano sulle guance coprendo una buona parte del volto.
«Sono al servizio del mio signore e voi non siete graditi: dovete andarvene» recitò Serena senza alcuna inflessione nella voce.
«Vorremo parlare al tuo signore, in effetti. Portaci da lui.» Misha sperò che le sue parole potessero trattenerla dal fare un gesto inconsulto.
«Lui non vuole vedervi» ripeté ancora lei facendo un passo verso di loro.
Adam mandò i filamenti d'ombra in avanti e piccoli serpenti oscuri scivolarono lungo il pavimento e i muri. 
«Non fare nulla di stupido» la blandì «possiamo parlarne…»
Ma Serena non attese oltre e, senza battere ciglio, si trapassò lo stomaco con il pugnale, emettendo un verso strozzato mentre il sangue si allargava sul vestito.
I filamenti d'ombra si avvolsero intorno al suo corpo, sostenendola, e permisero a Adam di avvicinarsi e prenderla tra le braccia, facendola distendere a terra e cercando di tamponare la fuoriuscita di sangue. 
«Perché l'hai fatto?»
«T… tempo» sussurrò la ragazza guardandolo dritto negli occhi e afferrandogli la mano.



«Hai parlato al plurale... Per chi lavori?»
«Fidati, non vuoi veramente saperlo» replicò sorniona Bea, poi sorrise e riprese a mangiare i frutti di mare.
«Aggiungo alcune condizioni anche io, però.»
«Sentiamo» lo invitò la strega mentre prendeva il contenitore della salsina e iniziava a raccogliere il residuo con un dito. Rogue la osservà portarsi l’indice alla bocca e per un attimo perse il filo dei suoi pensieri e si scoprì a immaginare cosa sarebbe successo se invece del dito le avesse messo in bocca qualcos’altro.
«Primo, voglio sapere per chi lavori e cosa intendi prendere dal caveau. Se devo rischiare le palle, voglio almeno sapere perché. Secondo, voglio che tu mi aiuti a recuperare degli oggetti dal mio appartamento prima di inscenare la mia morte. Terzo, dopo aver mangiato ho intenzione di scoparti in tutti i modi che mi verranno in mente. Ecco, queste sono le mie condizioni.»
Bea scoppiò a ridere in modo così spontaneo che per poco Rogue non fece altrettanto, ma si fermò in tempo e rimase fermo con il suo cipiglio serio a fissarla. «Sei veramente sicuro di quello che vuoi?»
«Sì è nessuna di queste condizioni è contrattabile» replicò pensando si riferisse alla terza condizione.
«Come vuoi. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Almeno è quello che dicono gli umani. In ogni caso, per la seconda condizione non c’è problema, la terza era inutile anche menzionarla, dato che sappiamo entrambi come sarebbe finita la serata, ma... Eh, la prima ti metterà in serio pericolo.»
«Sono cazzi miei» berciò lui, infastidito. «Rispondi.» 
Aveva pensato che chiedendole di scopare l’avrebbe messa in difficoltà, e invece la strega lo aveva preso in contropiede. Poco male, si sarebbe rimesso in fretta: da quando lei aveva iniziato a mangiare i frutti di mare, a lui era diventato così duro da non riuscire più a pensare in maniera lucida.
«Sono una pyrox.» 
La notizia ebbe lo stesso effetto di una bomba. Rogue si alzò di scatto, allontanandosi dalla tavola; le forze che aveva erano veramente esigue, ma non intendeva arrendersi. 
«Smettila, se volevo ucciderti non mi sarei presa la briga di salvarti» lo redarguì lei, asciutta. «Siediti e mangia, non vorrei che dopo sul più bello ti smontassi perché hai un calo di zuccheri. Sarebbe imbarazzante…» insinuò. Sorrise, allungò una mano e prese una mela rossa dal centrotavola, iniziando a sbucciarla con l ausilio di un’unghia.

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