Quando Lynx, il più celebre assassino di Ganderia, fa ritorno nella capitale dopo dieci anni di assenza, gli equilibri di potere vengono infranti. Le otto organizzazioni che gestiscono nell’ombra la vita della città abbandonano il loro torpore e ricominciano a tessere intrighi. Re Nuldest è disposto a qualunque cosa pur di scoprire perché, dopo tutto questo tempo, l’uomo sia ricomparso in città e non esita a mobilitare l’Ordine. Ed Eel non esiterà a rincorrere il suo sogno: divenire il miglior assassino della storia, facendosi un nome sulla pelle di Lynx… Persino Regina è pronta a calare le sue carte. Il gioco degli intrighi è cominciato. Chi trionferà?
L’uomo barbuto aprì la porta e attraversò la soglia chiudendosela alle
spalle. Un lumino disseminò un tenue bagliore nell’abitazione.
Tutto procedeva secondo i piani e il sicario sorrise. Come si aspettava,
il bersaglio, essendo ubriaco, non si era nemmeno accorto che la serratura
della porta di casa sua era stata sabotata durante la sua assenza.
Scese dal tetto da cui lo stava spiando. Avanzò nella radura spoglia tra
il villaggio e l’edificio.
Raggiunse la porta. Si schiacciò sulla parete adiacente e si protese in
ascolto. Il legno del pavimento scricchiolò ai passi del bersaglio, pesanti e
incerti. Il tonfo sordo di un corpo, seguito da una sedia, fece capire al
sicario che l’uomo era caduto a terra.
Passò qualche minuto, infine parve che fosse riuscito ad alzarsi e si
fosse buttato di peso sul letto. Uno scricchiolio supplichevole ne diede
conferma. Il lumino si spense e le tenebre avvolsero l’interno della casetta.
La luna era ridotta a uno spicchio.
Il sicario doveva pazientare il tempo necessario che il bersaglio
dormisse. Estrasse i pugnali quando decise che l’attesa era giunta al termine.
Fece pressione sulla porta, questa si aprì senza alcuna resistenza.
Nessuna luce degna di nota evidenziò quel movimento. Il sicario
procedette con passo spettrale.
Una tavola di legno si lamentò del suo peso. La pressione, seppur
leggera, fu sufficiente.
Si congelò all’istante. Attese diversi secondi nel timore di essere
scoperto.
Nulla. Il bersaglio non accennò al minimo movimento, dormiva così
profondamente da sembrare morto.
Una goccia di sudore gli solcò la fronte, infrangendosi sul sopracciglio.
Determinato, procedette senza quasi respirare.
Osservò per qualche istante il bersaglio. Comprese che aveva il volto
immerso nel cuscino, stava dormendo a pancia in giù. Una strana sensazione di
tristezza lo invase, sconfortato da quella crudele ironia: il più celebre
assassino di Ganderia sarebbe stato ucciso mentre dormiva, pugnalato alla
schiena.
Silenzioso come un fantasma, affondò le lame con estrema precisione. Una
all’altezza del cuore, l’altra dietro la nuca.
Morto.
Respirò forte. Si sentì sollevato, rilassò i muscoli, rinfoderò i pugnali
dopo averli estratti dalla carcassa e sospirò. Portò entrambe le mani sulla
testa, distese la schiena alzando il capo verso il soffitto in un gesto di
incredulità.
Non vedeva l’ora di tornare trionfante a Foltorp. Nella capitale chiunque
avrebbe pagato per udire la sua impresa. Senza contare il numero di donne con
cui avrebbe giaciuto da quel momento in avanti.
L’ascesa di Furetto era appena cominciata, l’assassino degli assassini.
Guardò ancora il cadavere, per quanto si potesse in quel buio, lo girò
per dargli un’ultima occhiata.
Sgomento.
Furetto si sentì gelare il sangue, impietrì. No, non poteva essere.
L’uomo di certo era senza barba, per di più pareva avesse un solco sulla
guancia sinistra, una cicatrice appena visibile in quelle condizioni di
oscurità.
Un volto familiare fece breccia nella sua memoria. Era un suo collega,
sicario della Congrega degli Assassini.
Un’imprecazione gli partì dalla mente, attraversò la testa per
raggiungere la lingua, ma non riuscì a pronunciarla.
Tutto divenne nero.
ESTRATTO N.2
Entrò nella sua stanza da letto, nonché ufficio, e si dispose davanti
allo specchio, dopo aver sospirato e poggiato le mani sul mobile sottostante.
«Giornata dura?» chiese una voce alle sue spalle.
Sentì un fremito percorrerle il corpo, infervorandole l’inguine. Sorrise,
gioiosa, ma non si voltò per non darlo a vedere. Non voleva concedere al suo
ospite una tale soddisfazione.
«Non più del solito», replicò con falsa indifferenza.
Lince fece una secca risata, più plateale che sincera.
«Ah, lo trovi divertente?» esclamò Regina voltandosi di scatto e
piantando le nocche sui fianchi. Esibì un’espressione corrucciata.
«In effetti sì», ammise con un sorriso affascinante, «la tua falsa
indifferenza mi diverte molto.»
«Oh, falsa?» replicò prendendo a borbottare, ma infine scoppiò in una
sonora risata.
La donna, seppur rasentava i cinquant’anni, non aveva perso nulla della sua
sensualità agli occhi di Lince. Il seno prosperoso, i fianchi larghi, il corpo
in carne quel giusto da essere appetibile. Il volto era segnato da qualche
ruga, ma le concedeva un fascino maggiore dettato dall’esperienza e da un
aspetto più arguto di quanto ricordasse, sempre se fosse stato possibile. Gli
occhi castani, così come i capelli, leggermente mossi, ricordavano la fragilità
di una cerbiatta. Un inganno più bello che buono.
«Il passare degli anni ti ha resa più bella», si complimentò lui.
«Suvvia Lince, non hai bisogno di adularmi… non tu.»
L’uomo si avvicinò facendosi serio in volto. «Dico davvero.»
Regina inarcò un sopracciglio inclinando la testa, scrutandolo per
carpire se mentisse.
«Oh, alla malora!» esclamò prima di buttarglisi addosso e baciarlo.
Il sicario corrispose con trasporto, avvinghiandola a sé con
una presa forte. Bastò poco e si ritrovarono a rotolarsi nudi sul letto.