Autore: Riccardo Schiroli
Titolo: Non vuol dire dimenticare
Editore: Soldiershop; 1 edizione (13 ottobre 2015)
Pagine: 190
Prezzo: € 2,99 formato ebook
Acquistabile su Amazon
Sinossi: Siamo nel 1989 e, con un volo
Linate-Zagabria, inizia un viaggio negli Stati Uniti. Per il protagonista, che
è l’io narrante di un romanzo scritto in prima persona, si tratta di un momento
epocale. Va in un paese che ha conosciuto prevalentemente attraverso i libri e
il cinema e lo fa per inseguire un sogno d’amore nel quale non è certo
di credere. Va solo: il suo mondo si è dissolto e cerca di costruirsene uno
nuovo. E’ in compagnia delle sue canzoni, che lo aiutano a convivere con gli
stati d’animo. Ma a poco a poco, finirà con il dover mettere i piedi per terra.
Il sogno d’amore non si rivelerà qualcosa in cui credere, ma nella California del sud e a New York City, inizierà la dolorosa transizione verso una fase nuova della vita.
Il sogno d’amore non si rivelerà qualcosa in cui credere, ma nella California del sud e a New York City, inizierà la dolorosa transizione verso una fase nuova della vita.
Perché penso che sia da
pubblicare? Sono convinto di essere riuscito a ottenere un linguaggio che
rappresenta moltissimo le persone come me: che vengono da una educazione
cattolica un po’ invasiva, che sono cresciute abbastanza privilegiate, che non
hanno mai fatto troppa fatica a scuola. Anche perché il protagonista si è
lasciato alle spalle i privilegi e si trova a farsi largo da solo e un po’
disorientato.
Credo anche che il romanzo rappresenti bene l’impatto che gli Stati Uniti potevano avere su un europeo del 1989. Descrivendo un mondo nel quale ancora non c’è internet e il protagonista può stupirsi delle centinaia di canali via cavo che vede grazie al televisore del Motel, penso sia anche interessante notare come non sia poi vero che i ventenni degli anni ’80 erano così diversi da quelli del terzo millennio.
Credo anche che il romanzo rappresenti bene l’impatto che gli Stati Uniti potevano avere su un europeo del 1989. Descrivendo un mondo nel quale ancora non c’è internet e il protagonista può stupirsi delle centinaia di canali via cavo che vede grazie al televisore del Motel, penso sia anche interessante notare come non sia poi vero che i ventenni degli anni ’80 erano così diversi da quelli del terzo millennio.
Riccardo Schiroli è nato a Parma nel 1963. Giornalista
professionista e poliglotta (parla correttamente Inglese e Tedesco, comunica in
Francese e Spagnolo), è entrato nel mondo della comunicazione come conseguenza
dei suoi studi di Economia. Una volta Amministratore Unico della Comunicazioni
Parmensi s.r.l., sulla fine degli anni ’80 si è dimesso dall’incarico e ha
deciso di seguire la sua vocazione,
cercando di percorrere la strada del giornalismo. Prima di ottenere
l’accesso all’esame di Stato per l’esercizio della professione, ha fatto in
tempo a diventare responsabile dell’informazione di Radio Onda Emilia (novembre
1990) e poi (agosto 1996) responsabile del Telegiornale di Teleducato a Parma.
Una volta professionista (2000) ha assunto la direzione di Teleducato Piacenza.
Nel 2001 ha scoperto internet e portato avanti i progetti dei siti Baseball.it (fino a fine anno) e Sportal.it (fino all’autunno del 2003). Dal 2002 ha iniziato una collaborazione con l’Ufficio Stampa della Federazione Baseball, della quale è Responsabile della Comunicazione dal gennaio del 2004.
Ha collaborato con i quotidiani La Gazzetta di Parma, La Tribuna di Parma e L’Unità in Italia. Con il periodico Baseball America e il sito MLB.com negli Stati Uniti. In rete trovate il suo blog www.riccardoschiroli.com.
“Non vuol dire dimenticare” è il suo primo romanzo. Nonostante il tono della narrazione in prima persona, non è necessariamente un lavoro autobiografico.
Nel 2001 ha scoperto internet e portato avanti i progetti dei siti Baseball.it (fino a fine anno) e Sportal.it (fino all’autunno del 2003). Dal 2002 ha iniziato una collaborazione con l’Ufficio Stampa della Federazione Baseball, della quale è Responsabile della Comunicazione dal gennaio del 2004.
Ha collaborato con i quotidiani La Gazzetta di Parma, La Tribuna di Parma e L’Unità in Italia. Con il periodico Baseball America e il sito MLB.com negli Stati Uniti. In rete trovate il suo blog www.riccardoschiroli.com.
“Non vuol dire dimenticare” è il suo primo romanzo. Nonostante il tono della narrazione in prima persona, non è necessariamente un lavoro autobiografico.
4- LA MORTE
Il pilota ci ha detto che entro una mezz’ora vedremo sotto di noi la città di New York.Ho mangiato per la quarta volta e onestamente mi è stato difficile attribuire un significato all’ultimo pasto. Mi sono voltato verso Pellucidar, che però si è addormentato da tempo. Ho fatto un giro per l’aereo e ho appurato che la classe economica sembra un mercato del bestiame, mentre noi abbiamo fatto un viaggio da re.Ho iniziato a fare i conti su quanto questo viaggio mi verrà a costare e mi sono spaventato per un attimo. In realtà non si potrebbe dire che si tratta di soldi miei, ma dell’ultimo aiuto datomi da mio padre. Il mio capitale di partenza era scarso, ma se non avessi incassato alla sua morte una parte dei soldi che aveva versato per garantirsi una vecchiaia tranquilla, lo sarebbe stato ancora di più.Il 25 febbraio dell’anno scorso non era neanche male come giornata. Da studente asino ma non troppo mi ero svegliato moderatamente tardi. Non avevo studiato. Mollemente avevo percorso i 100 metri in linea d’aria che separavano casa mia da quello che pochi giorni dopo sarebbe diventato il mio posto di lavoro. Avevo quell’intontimento classico che viene al risveglio da un sonno poco soddisfacente. Una parte della mia vita stava finendo e io perdevo tempo dando occhiate distratte ai negozi.- Neanche oggi il papà è andato a lavorare- Lo aveva detto mia sorella prima che uscissi e non me ne era fregato troppo. Ero tornato a casa alle due del pomeriggio e mi ero sentito raffreddato. Mi ero steso sul letto con in mano nientemeno che ‘L’età della ragione’ di Sartre, un libro che stavo tentando inutilmente di finire da quasi un mese. Rivivo la scena: suona il telefono, sono le cinque, minuto più minuto meno. Con i pantaloni a mezza gamba mi alzo e rispondo: - Pronto, Riccardo. Sono Adriano. Il papà è qui, è caduto. Penso che sia già morto-Resto calmo. E’ febbraio ma c’è caldo, tanto che mi infilo il cappotto senza abbottonarlo; mi butto in strada e mi viene da cantare “sì, la vita è tutta un quiz”. Rivedo mio padre in terra, ormai bianco, come una bambola rotta. Provo a rianimarlo ma ha una ferita alla pancia che è terribile. Grido, e mi sembra di entrare in un album delle foto.E’ arrivato il medico legale, quel giorno e sono arrivati i poliziotti. Il mio medico di famiglia ha detto solo “che brut lavor”. Si è fatto buio, all’improvviso e quando sono arrivato c’era il sole. Cosa vuol dire? Un cazzo, solo che è arrivato il tramonto.E’ stato l’ultimo giorno di vita di mio padre. L’ho raccontato alla Valerie un giorno di Settembre ed è stata lei la prima persona con cui ho rivissuto quei momenti.-Oh, Dio- ha detto lei e i suoi occhi neri hanno iniziato a luccicare. Anche la Valerie ha perso una persona cara, me lo ha detto quella sera. Avevamo iniziato a parlare partendo dal testo di una canzone di Samantha Fox. La Valerie me lo ha dato chiedendomi se sapevo tradurre in Italiano l’espressione “party girl” e io le ho detto che sì, certo che la sapevo tradurre, anche se ho capito subito che dire “ragazza da festini” non aveva lo stesso fascino.-Ma tu sei una ragazza da feste?- C’è mancato un attimo che lo chiedessi. Poi mi sono trattenuto, così come mi sono trattenuto dal fare commenti sugli inverosimili seni di Samantha Fox. Così, forse per dissimulare, ho letto il testo della Samanta e ho scoperto che non era poi del tutto idiota: “Ho sempre preso il sesso come un gioco, ma con te lo voglio fare per amore”.Ho guardato la Valerie, che mi stava osservando. Ho pensato che però noi bravi ragazzi in fondo se fossimo un po’ peggio di così sarebbe anche meglio e facendolo mi sono rattristato.-Ricky, perché sei così. Sembri felice, poi di colpo non sorridi più-Alla luce del fatto che Paul Weller nella sua canzone ‘The Paris match’ scriveva “a volte mi piace essere triste così, in maniera naturale” mi sono considerato soddisfatto.Comunque ho continuato: -Sai, è da quando mi è venuto a mancare mio padre…- La Valerie mi si è avvicinata e abbracciarla mi è sembrato naturale. Però non l’ho fatto, le ho solo appoggiato una mano sulla spalle. Non ho detto più nulla, ma questa volta è stata lei a parlare: -Il mio fratellastro è morto ad appena trent’anni. E’ stato terribile. Lo sai cosa significa vedere morire chi ami in un letto d’ospedale? Non puoi fare nulla, mentre si spegne a poco a poco. E’ terribile-Io lo sapevo, ma non l’ho detto. E ho aspettato di essere solo, per piangere un po’.Il DC10 della Jat si è attaccato al braccio che ci collega alla stazione dell’aeroporto più grande del mondo. Pellucidar ha preso il suo bagaglio a mano proprio nel momento preciso in cui la voce dall’altoparlante diceva di non muoversi fino a che il segnale luminose delle cinture di sicurezza non si fosse spento. Io sono rimasto seduto accanto ad un tizio che si è qualificato come un Americano di origine jugoslava. Mi ha preso il foglietto che dovevo compilare per l’Ufficio Immigrazione e mi ha consigliato di mettere un indirizzo preciso dove mi si chiedeva la mia residenza negli Stati Uniti. Ne ho parlato con Pellucidar e lui ha insistito per mettere una via di una città del New Jersey dove viveva un allenatore di non so quale sport che aveva conosciuto in vacanza a Castiglione della Pescaia. Non ha nemmeno dovuto insistere molto per convincermi.
- Ciao Riccardo Schiroli, perché non ci parli un po’ di te? Spiegaci in poche parole chi sei, cosa ami fare e qual è il ruolo della scrittura nella tua vita.
Sono un giornalista professionista che si è formato
nelle radio e nelle televisioni private e che ha avuto la sua vita
professionale cambiata dall’incontro con il web. Appena ho capito cosa potenzialmente
può essere un sito internet (il mio primo approccio, negli anni ’90 del secolo
scorso, era stato: “Sarà una specie di televideo”), ho capito che avevo trovato
il medium ideale per la mia idea di fare informazione. Nella mia vita la
scrittura ha una parte molto importante: è il mio lavoro, il mio hobby, anche
la mia seduta di auto analisi, se posso essere sincero.
- Qual è stato il percorso che ti ha permesso di pubblicare i tuoi libri? È stato difficile arrivare alla pubblicazione?
Ho pubblicato diversi libri sul baseball,
commissionati direttamente dalla Federazione Italiana e dalla Federazione
Internazionale. Quindi direi che in questi casi non è stato per niente
difficile. Un discorso diverso è pubblicare fiction. Gli editori non possono
permettersi di rischiare e spesso puntano sulla notorietà del nome di chi
pubblica. Questa almeno è la mia impressione
- Parlaci di questo nuovo libro.
“Non vuol dire dimenticare” è il
mio primo romanzo. Ho iniziato a scriverlo anni fa, addirittura con la macchina
per scrivere. Nel frattempo sono molto cambiato, come professionista e come
persona. Ma sono convinto che questo romanzo esprima una voce originale e
quindi ho cercato di pubblicarlo con pochi cambiamenti. E’ scritto in prima
persona, ma non è un romanzo biografico o autofiction. Voglio dire: io a 26
anni sono davvero andato negli USA da solo per incontrare una ragazza, ma
questo è il pretesto alla base del romanzo. Io in realtà con questo romanzo
voglio raccontare un cambiamento. Del protagonista e del mondo che lo circonda.
La mia vera scommessa è sul linguaggio, che spero appaia coerente a chi era
ventenne negli anni ’80
- Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato (e che stai incontrando) nella promozione dei tuoi libri?
La difficoltà più grande è il senso di smarrimento
che ti assale quando comprendi che il potenziale della rete e dei social media
è davvero immenso, ma che è appunto un potenziale. Anche oggi puoi anche
scrivere il miglior libro del mondo e vederlo passare inosservato. Il difficile
non è scrivere un libro, è farlo leggere.
- Quanto è importante secondo te la promozione per il successo di un libro?
E’ molto importante rivolgersi al target giusto. Ma
questo è vero anche al momento della scelta della lingua con cui si scrive il
libro. Quindi, in sintesi: la promozione è fondamentale, per il successo di un
libro
- Cosa vorresti dire ai tuoi lettori, che non abbiamo ancora scoperto nel tuo blog o nel tuo romanzo riguardo a Riccardo Schiroli?
Che la cosa che mi dà più piacere è raccontare
storie. Che la cosa che mi preme di più è farmi capire bene da tutti. E che non
credo che “semplice” e “banale” siano 2 sinonimi…
- Se ti chiedessi di parlare di cosa provi quando scrivi, dei tuoi conflitti, delle tue paure, cosa risponderesti?
Io quando scrivo sono a mio agio. Non conosco la paura del foglio bianco,
per intenderci. Però, tra quello che esce e un testo adatto a interessare il
pubblico spesso c’è molto lavoro. E questo lavoro è la vera fatica dello
scrivere
- Scrivi per successo o per bisogno? Cosa ti spinge realmente?
Scrivo perché è quello che mi rende sereno e felice e continuerò a farlo
comunque. Ma non nego che spero proprio di essere letto dal maggior numero
possibile di persone
- Che cosa sogni per il tuo futuro? E che cosa ti aspetti dalla vita?
Sono in quello che qualcuno molto più bravo di me definì “nel mezzo del
cammin di nostra vita”. Visto che metà (abbondante, probabilmente) è andata, mi
piacerebbe passare l’altra metà dedicandomi alla letteratura a tempo pieno.
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