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mercoledì 6 aprile 2016

Anteprima: Non vuol dire dimenticare



Autore: Riccardo Schiroli
Titolo: Non vuol dire dimenticare
Editore: Soldiershop; 1 edizione (13 ottobre 2015)
Pagine: 190
Prezzo: € 2,99 formato ebook
Acquistabile su Amazon



Sinossi: Siamo nel 1989 e, con un volo Linate-Zagabria, inizia un viaggio negli Stati Uniti. Per il protagonista, che è l’io narrante di un romanzo scritto in prima persona, si tratta di un momento epocale. Va in un paese che ha conosciuto prevalentemente attraverso i  libri e  il cinema e lo fa per inseguire un sogno d’amore nel quale non è certo di credere. Va solo: il suo mondo si è dissolto e cerca di costruirsene uno nuovo. E’ in compagnia delle sue canzoni, che lo aiutano a convivere con gli stati d’animo. Ma a poco a poco, finirà con il dover mettere i piedi per terra.
Il sogno d’amore non si rivelerà qualcosa in cui credere, ma nella California del sud e a New York City, inizierà la dolorosa transizione verso una fase nuova della vita.
Perché penso che sia da pubblicare? Sono convinto di essere riuscito a ottenere un linguaggio che rappresenta moltissimo le persone come me: che vengono da una educazione cattolica un po’ invasiva, che sono cresciute abbastanza privilegiate, che non hanno mai fatto troppa fatica a scuola. Anche perché il protagonista si è lasciato alle spalle i privilegi e si trova a farsi largo da solo e un po’ disorientato.
Credo anche che il romanzo rappresenti bene l’impatto che gli Stati Uniti potevano avere su un europeo del 1989. Descrivendo un mondo nel quale ancora non c’è internet e il protagonista può stupirsi delle centinaia di canali via cavo che vede grazie al televisore del Motel, penso sia anche interessante notare come non sia poi vero che i ventenni degli anni ’80 erano così diversi da quelli del terzo millennio.






Riccardo Schiroli è nato a Parma nel 1963. Giornalista professionista e poliglotta (parla correttamente Inglese e Tedesco, comunica in Francese e Spagnolo), è entrato nel mondo della comunicazione come conseguenza dei suoi studi di Economia. Una volta Amministratore Unico della Comunicazioni Parmensi s.r.l., sulla fine degli anni ’80 si è dimesso dall’incarico e ha deciso di seguire la sua vocazione,  cercando di percorrere la strada del giornalismo. Prima di ottenere l’accesso all’esame di Stato per l’esercizio della professione, ha fatto in tempo a diventare responsabile dell’informazione di Radio Onda Emilia (novembre 1990) e poi (agosto 1996) responsabile del Telegiornale di Teleducato a Parma. Una volta professionista (2000) ha assunto la direzione di Teleducato Piacenza.
Nel 2001 ha scoperto internet e portato avanti i progetti dei siti Baseball.it (fino a fine anno) e Sportal.it (fino all’autunno del 2003). Dal 2002 ha iniziato una collaborazione con l’Ufficio Stampa della Federazione Baseball, della quale è Responsabile della Comunicazione dal gennaio del 2004.
Ha collaborato con i quotidiani La Gazzetta di Parma, La Tribuna di Parma e L’Unità in Italia. Con il periodico Baseball America e il sito MLB.com negli Stati Uniti. In rete trovate il suo blog www.riccardoschiroli.com.
“Non vuol dire dimenticare” è il suo primo romanzo. Nonostante il tono della narrazione in prima persona, non è necessariamente un lavoro autobiografico. 






4- LA MORTE

Il pilota ci ha detto che entro una mezz’ora vedremo sotto di noi la città di New York.Ho mangiato per la quarta volta e onestamente mi è stato difficile attribuire un significato all’ultimo pasto. Mi sono voltato verso Pellucidar, che però si è addormentato da tempo. Ho fatto un giro per l’aereo e ho appurato che la classe economica sembra un mercato del bestiame, mentre noi abbiamo fatto un viaggio da re.Ho iniziato a fare i conti su quanto questo viaggio mi verrà a costare e mi sono spaventato per un attimo. In realtà non si potrebbe dire che si tratta di soldi miei, ma dell’ultimo aiuto datomi da mio padre. Il mio capitale di partenza era scarso, ma se non avessi incassato alla sua morte una parte dei soldi che aveva versato per garantirsi una vecchiaia tranquilla, lo sarebbe stato ancora di più.Il 25 febbraio dell’anno scorso non era neanche male come giornata. Da studente asino ma non troppo mi ero svegliato moderatamente tardi. Non avevo studiato. Mollemente avevo percorso i 100 metri in linea d’aria che separavano casa mia da quello che pochi giorni dopo sarebbe diventato il mio posto di lavoro. Avevo quell’intontimento classico che viene al risveglio da un sonno poco soddisfacente. Una parte della mia vita stava finendo e io perdevo tempo dando occhiate distratte ai negozi.- Neanche oggi il papà è andato a lavorare- Lo aveva detto mia sorella prima che uscissi e non me ne era fregato troppo. Ero tornato a casa alle due del pomeriggio e mi ero sentito raffreddato. Mi ero steso sul letto con in mano nientemeno che ‘L’età della ragione’ di Sartre, un libro che stavo tentando inutilmente di finire da quasi un mese. Rivivo la scena: suona il telefono, sono le cinque, minuto più minuto meno. Con i pantaloni a mezza gamba mi alzo e rispondo: - Pronto, Riccardo. Sono Adriano. Il papà è qui, è caduto. Penso che sia già morto-Resto calmo. E’ febbraio ma c’è caldo, tanto che mi infilo il cappotto senza abbottonarlo; mi butto in strada e mi viene da cantare “sì, la vita è tutta un quiz”. Rivedo mio padre in terra, ormai bianco, come una bambola rotta. Provo a rianimarlo ma ha una ferita alla pancia che è terribile. Grido, e mi sembra di entrare in un album delle foto.E’ arrivato il medico legale, quel giorno e sono arrivati i poliziotti. Il mio medico di famiglia ha detto solo “che brut lavor”. Si è fatto buio, all’improvviso e quando sono arrivato c’era il sole. Cosa vuol dire? Un cazzo, solo che è arrivato il tramonto.E’ stato l’ultimo giorno di vita di mio padre. L’ho raccontato alla Valerie un giorno di Settembre ed è stata lei la prima persona con cui ho rivissuto quei momenti.-Oh, Dio- ha detto lei e i suoi occhi neri hanno iniziato a luccicare. Anche la Valerie ha perso una persona cara, me lo ha detto quella sera. Avevamo iniziato a parlare partendo dal testo di una canzone di Samantha Fox. La Valerie me lo ha dato chiedendomi se sapevo tradurre in Italiano l’espressione “party girl” e io le ho detto che sì, certo che la sapevo tradurre, anche se ho capito subito che dire “ragazza da festini” non aveva lo stesso fascino.-Ma tu sei una ragazza da feste?- C’è mancato un attimo che lo chiedessi. Poi mi sono trattenuto, così come mi sono trattenuto dal fare commenti sugli inverosimili seni di Samantha Fox. Così, forse per dissimulare, ho letto il testo della Samanta e ho scoperto che non era poi del tutto idiota: “Ho sempre preso il sesso come un gioco, ma con te lo voglio fare per amore”.Ho guardato la Valerie, che mi stava osservando. Ho pensato che però noi bravi ragazzi in fondo se fossimo un po’ peggio di così sarebbe anche meglio e facendolo mi sono rattristato.-Ricky, perché sei così. Sembri felice, poi di colpo non sorridi più-Alla luce del fatto che Paul Weller nella sua canzone ‘The Paris match’ scriveva “a volte mi piace essere triste così, in maniera naturale” mi sono considerato soddisfatto.Comunque ho continuato: -Sai, è da quando mi è venuto a mancare mio padre…- La Valerie mi si è avvicinata e abbracciarla mi è sembrato naturale. Però non l’ho fatto, le ho solo appoggiato una mano sulla spalle. Non ho detto più nulla, ma questa volta è stata lei a parlare: -Il mio fratellastro è morto ad appena trent’anni. E’ stato terribile. Lo sai cosa significa vedere morire chi ami in un letto d’ospedale? Non puoi fare nulla, mentre si spegne a poco a poco. E’ terribile-Io lo sapevo, ma non l’ho detto. E ho aspettato di essere solo, per piangere un po’.Il DC10 della Jat si è attaccato al braccio che ci collega alla stazione dell’aeroporto più grande del mondo. Pellucidar ha preso il suo bagaglio a mano proprio nel momento preciso in cui la voce dall’altoparlante diceva di non muoversi fino a che il segnale luminose delle cinture di sicurezza non si fosse spento. Io sono rimasto seduto accanto ad un tizio che si è qualificato come un Americano di origine jugoslava. Mi ha preso il foglietto che dovevo compilare per l’Ufficio Immigrazione e mi ha consigliato di mettere un indirizzo preciso dove mi si chiedeva la mia residenza negli Stati Uniti. Ne ho parlato con Pellucidar e lui ha insistito per mettere una via di una città del New Jersey dove viveva un allenatore di non so quale sport che aveva conosciuto in vacanza a Castiglione della Pescaia. Non ha nemmeno dovuto insistere molto per convincermi.






  • Ciao Riccardo Schiroli, perché non ci parli un po’ di te? Spiegaci in poche parole chi sei, cosa ami fare e qual è il ruolo della scrittura nella tua vita.

Sono un giornalista professionista che si è formato nelle radio e nelle televisioni private e che ha avuto la sua vita professionale cambiata dall’incontro con il web. Appena ho capito cosa potenzialmente può essere un sito internet (il mio primo approccio, negli anni ’90 del secolo scorso, era stato: “Sarà una specie di televideo”), ho capito che avevo trovato il medium ideale per la mia idea di fare informazione. Nella mia vita la scrittura ha una parte molto importante: è il mio lavoro, il mio hobby, anche la mia seduta di auto analisi, se posso essere sincero.

  • Qual è stato il percorso che ti ha permesso di pubblicare i tuoi libri? È stato difficile arrivare alla pubblicazione?
Ho pubblicato diversi libri sul baseball, commissionati direttamente dalla Federazione Italiana e dalla Federazione Internazionale. Quindi direi che in questi casi non è stato per niente difficile. Un discorso diverso è pubblicare fiction. Gli editori non possono permettersi di rischiare e spesso puntano sulla notorietà del nome di chi pubblica. Questa almeno è la mia impressione


  • Parlaci di questo nuovo libro.

“Non vuol dire dimenticare” è il mio primo romanzo. Ho iniziato a scriverlo anni fa, addirittura con la macchina per scrivere. Nel frattempo sono molto cambiato, come professionista e come persona. Ma sono convinto che questo romanzo esprima una voce originale e quindi ho cercato di pubblicarlo con pochi cambiamenti. E’ scritto in prima persona, ma non è un romanzo biografico o autofiction. Voglio dire: io a 26 anni sono davvero andato negli USA da solo per incontrare una ragazza, ma questo è il pretesto alla base del romanzo. Io in realtà con questo romanzo voglio raccontare un cambiamento. Del protagonista e del mondo che lo circonda. La mia vera scommessa è sul linguaggio, che spero appaia coerente a chi era ventenne negli anni ’80

  • Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato (e che stai incontrando) nella promozione dei tuoi libri?
La difficoltà più grande è il senso di smarrimento che ti assale quando comprendi che il potenziale della rete e dei social media è davvero immenso, ma che è appunto un potenziale. Anche oggi puoi anche scrivere il miglior libro del mondo e vederlo passare inosservato. Il difficile non è scrivere un libro, è farlo leggere.


  • Quanto è importante secondo te la promozione per il successo di un libro?
E’ molto importante rivolgersi al target giusto. Ma questo è vero anche al momento della scelta della lingua con cui si scrive il libro. Quindi, in sintesi: la promozione è fondamentale, per il successo di un libro


  • Cosa vorresti dire ai tuoi lettori, che non abbiamo ancora scoperto nel tuo blog o nel tuo romanzo riguardo a Riccardo Schiroli?
Che la cosa che mi dà più piacere è raccontare storie. Che la cosa che mi preme di più è farmi capire bene da tutti. E che non credo che “semplice” e “banale” siano 2 sinonimi…


  • Se ti chiedessi di parlare di cosa provi quando scrivi, dei tuoi conflitti, delle tue paure, cosa risponderesti? 
Io quando scrivo sono a mio agio. Non conosco la paura del foglio bianco, per intenderci. Però, tra quello che esce e un testo adatto a interessare il pubblico spesso c’è molto lavoro. E questo lavoro è la vera fatica dello scrivere


  • Scrivi per successo o per bisogno? Cosa ti spinge realmente? 
Scrivo perché è quello che mi rende sereno e felice e continuerò a farlo comunque. Ma non nego che spero proprio di essere letto dal maggior numero possibile di persone



  • Che cosa sogni per il tuo futuro? E che cosa ti aspetti dalla vita? 
Sono in quello che qualcuno molto più bravo di me definì “nel mezzo del cammin di nostra vita”. Visto che metà (abbondante, probabilmente) è andata, mi piacerebbe passare l’altra metà dedicandomi alla letteratura a tempo pieno.

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